9 Maggio, la Festa dell’Europa

Di Rudy Caparrini

9 maggio 2019

Oggi 9 maggio è il giorno che le istituzioni europee hanno scelto come Festa dell’Europa. Tale data è stata indicata in riferimento al 9 maggio 1950 e alla “Dichiarazione Schuman”. Quel giorno, infatti, il ministro francese degli esteri Robert Schuman pronunciò uno storico discorso nel quale presentò la proposta di creare un’Europa organizzata, indispensabile al mantenimento di relazioni pacifiche fra gli Stati. La dichiarazione prospettava il superamento delle rivalità storiche tra Francia e Germania, legate anche alla produzione di carbone e acciaio, grazie alla realizzazione di un’Alta Autorità per la messa in comune e il controllo delle riserve europee di tali materie prime, di immenso valore dal punto di vista strategico. La dichiarazione Schuman rappresentò quindi un punto di svolta nella storia delle relazioni internazionali tra gli stati europei, perché proponeva di mettere in comune gli interessi economici al fine di contribuire ad innalzare il livello di qualità della vita e sarebbe stato il primo vero passo verso un’Europa più unita. Infatti, l’adesione alla CECA non era limitata a Francia e Germania, ma era aperta anche ad altri paesi europei. L’auspicio del ministro francese trovò realizzazione poco meno di un anno dopo, con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), sorta nel 1951. Mettendo in comune la produzione di acciaio e carbone tra le nazioni più potenti del continente, si sperava di poter evitare future guerre. I primi Stati ad aderire a questa Comunità furono Francia, Germania, Belgio, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.

Il 9 maggio 1950 è quindi una data di grande valore storico, pietra miliare del processo di integrazione che ha conosciuto importanti sviluppi negli anni seguenti: nel 1957 ha visto nascere la Comunità Economica Europea (CEE) e successivamente, col trattato di Maastricht del 1992, l’Unione Europea (UE). Molte sono cambiate da allora. Ai sei Paesi fondatori si sono aggiunti tanti altri Stati, fino a giungere al numero di 28 membri (voglio sperare che il Regno Unito possa ripensare la sua scelta della Brexit e decidere di restare nella UE). E altri Paesi ancora vorrebbero aderirvi. Il numero crescente di adesioni dimostra che il processo di integrazione ha quindi avuto un indiscutibile successo, nonostante gli euroscettici sostengano il contrario. Tutto ciò è stato possibile grazie a quello storico discorso che Schuman pronunciò il 9 maggio 1950. Un giorno che dovrebbe essere celebrato in maniera degna. Secondo me meriterebbe di essere festa nazionale in tutti i Paesi che formano la UE.

Per quel che mi riguarda voglio ribadire che credo ancora nell’ideale di un’Europa Unita, che ha garantito pace e prosperità negli ultimi 70 anni in un continente che era reduce dalla tragedia di due guerre devastanti nei primi decenni del XX Secolo. Mi dispiace non poco vedere che il processo di integrazione viva una fase difficile ormai da parecchi anni. Ma voglio ancora credere che possano esistere occasioni per un rilancio.

Tanti auguri Europa!

Mediterraneo, occasione per il rilancio dell’Unione Europea

Mediterraneo

Di Rudy Caparrini
Il premier Matteo Renzi, intervenendo alla conferenza degli Ambasciatori d’Italia che si è tenuta nei giorni scorsi alla Farnesina, ha ribadito che il Mediterraneo è il fulcro della politica estera del nostro Paese, affermando anche che “dobbiamo spiegare all’Europa perché è centrale, perché è necessario investire sul Mediterraneo”.
In effetti, il Mare Nostrum, piuttosto che essere un problema, può davvero offrire un ‘occasione di rilancio per un’Unione Europea che è in crisi profonda ormai da dieci anni, esattamente dal mese di maggio 2005, quando si verificò la doppia vittoria del “no” nei referendum in Francia e Olanda sul testo di Costituzione Europea redatto dalla Convenzione guidata da Valery Giscard d’Estaing.
Per provare a salvare la costruzione europea, i capi dei governi devono agire in modo da conciliare due esigenze talvolta divergenti: mantenere un alto profilo politico e strategico, che guardi al futuro oltre che al presente; ottenere un successo immediato in materie chiave, che toccano da vicino gli interessi della gente. La coesistenza di questi due obiettivi non è semplice, ma neppure impossibile.
Dal punto di vista strategico, il Consiglio Europeo (l’organo costituito dai capi di stato e di governo dei Paesi membri della UE) potrebbe finalmente riuscire ad adottare una vera Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) facendo del Mediterraneo la sua priorità. Se riuscisse ad agire in modo coeso, la UE potrebbe divenire l’attore principale in quella che oggi è una delle aree di maggiore tensione della politica internazionale, acquisendo un prestigio e un peso diplomatico di grande spessore. L’Unione Europea deve mostrare capacità di iniziativa assumendo un ruolo di primo piano, ergendosi a interlocutore primario con quei Paesi della sponda meridionale del Mare Nostrum che devono fronteggiare la minaccia del terrorismo di matrice islamica. La UE non può pensare che, come accaduto troppe volte in passato, siano gli USA (o la NATO) ad intervenire per risolvere situazioni di crisi in Europa. La leadership nel Mediterraneo compete alla UE e i leader europei devono avere il coraggio di agire da protagonisti.
L’adozione di una politica comune della UE nel Mediterraneo sarebbe senza dubbio funzionale per trattare con maggiore efficacia temi di grandi interesse per i cittadini, quali la sicurezza e l’immigrazione. L’Unione Europea dovrebbe promuovere, insieme ai paesi della sponda meridionale del Mare Nostrum, la costituzione di una struttura di polizia internazionale in grado di lottare contro il terrorismo ma anche di prevenire sbarchi massicci di immigrati sulle coste europee (Italia in primis). In tal maniera, il cittadino comune potrebbe finalmente pensare che la UE è davvero utile, perché può risolvere i problemi quotidiani.
La capacità di gestire la delicata situazione che vive oggi il Mediterraneo rappresenta un vero esame di maturità per l’Unione Europea, giunta a un bivio in cui deve scegliere se intraprendere una strada che le consenta di divenire un soggetto rilevante della politica internazionale oppure rimanere una grande incompiuta perché incapace di avere una sua visione strategica. La UE deve svelare quella che sarà la sua vera natura nei prossimi anni: essere una realtà con un’anima politica oppure rimanere un carrozzone formato da burocrati super pagati per svolgere ruoli di natura tecnocratica. Come ha giustamente detto Renzi “la UE non può essere solo il luogo dei parametri economici e non può essere puramente un’unione economica”. La crisi in atto nel Mediterraneo offre alla UE l’opportunità di poter compiere quel salto di qualità verso una vera Unione politica.

Grecia, e ora cosa succede?

Bandiera-grecia

Di Rudy Caparrini
Il popolo greco ha votato a larga maggioranza per il no nel referendum promosso dal governo di Atene, che chiedeva all’elettorato se accettava o meno le condizioni proposte dai creditori (Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale). In tal modo i greci hanno dimostrato di sostenere la posizione del premier Alexis Tsipras, che aveva abbandonato i negoziati con le controparti asserendo che il suo esecutivo non poteva accettare imposizioni che avrebbero peggiorato una situazione già drammatica.
Non nascondo che l’esito del referendum mi mette un po’ di ansia. Se fossi stato cittadino ellenico avrei votato sì, perché ritengo che vi siano ambiti nei quali il governo di Atene può accogliere, almeno in parte, le richieste che provengono dai creditori. Ad esempio, è essenziale che la Repubblica Ellenica applichi una radicale riforma del sistema pensionistico come del resto hanno fatto vari Stati europei, fra cui anche l’Italia. Inoltre, penso che l’esecutivo di Tsipras debba lottare con forza per combattere i molti sprechi ancora esistenti nella pubblica amministrazione. Infine, credo che Atene possa decretare una riduzione delle spese militari, che raggiungono una percentuale del Pil ben superiore alla media europea.
Dopo la consultazione di ieri alcune domande sorgono spontanee. Davvero Atene abbandonerà l’euro per tornare alla dracma? È possibile che la Repubblica Ellenica possa uscire anche dall’Unione Europea? Vi saranno conseguenze di stampo geopolitico, con la Grecia che abbandonerà il fronte occidentale per avvicinarsi alla Russia?
Nei prossimi giorni Tsipras deve svelare le sue reali intenzioni. In questo senso, ritengo positivo l’atteggiamento manifestato ieri dal premier ellenico il quale, in un messaggio televisivo, ha mostrato toni diplomatici ribadendo che non è sua intenzione rompere i ponti con la UE e che vuole, invece, riprendere le trattative al più presto.
Spero che Tsipras possa avere un approccio pragmatico. Nonostante il successo nel referendum, il premier greco deve fare i conti con una realtà che vede il suo Paese in grave difficoltà, con le banche chiuse da vari giorni e con un sistema economico di fatto bloccato. In parole povere, la Grecia ha assoluto bisogno di soldi per ripartire e il governo di Atene deve adoperarsi per ottenere un nuovo programma di aiuti che solo la UE può fornire, poiché è assai difficile che la Russia di Putin, che vive una situazione economica tutt’altro che buona, sia disposta a erogare prestiti nell’ordine di molti miliardi di euro per sostenere lo Stato Ellenico.
Oggi è un nuovo giorno per la Grecia e per i greci. Non mi sento di dire “Buongiorno Grecia”, poiché non so cosa riserverà il futuro allo Stato Ellenico. Il tempo dirà se col voto di ieri si è avuta l’ennesima dimostrazione di grande coraggio del popolo greco oppure se è stato un azzardo pericoloso.